Brexit

Brexit

20All’indomani del drammatico referendum con il quale la Gran Bretagna ha sancito la propria volontà di uscire dall’Unione Europea, più o meno tutti gli osservatori avevano preconizzato una fuga in massa di capitali, cervelli, aziende e istituzioni bancarie dal Paese. Tutto sembrava preludere ad un periodo di grave instabilità per l’economia del Regno Unito. Eppure, a pochi mesi di distanza dal voto a favore della Brexit, le cose paiono prendere una piega del tutto diversa.

In realtà, già dallo scorso anno, a Brexit ancora di là da venire, la Gran Bretagna di Cameron aveva cominciato a proporsi come un vero e proprio paradiso fiscale per i capitali stranieri: investire a Londra non era mai apparso così vantaggioso. E questo non solo per le favorevolissime aliquote fiscali riservate alle società di capitali – passate, nel corso di quell’anno, da un già ottimo 21% ad un eccellente 20% – ma anche grazie all’insieme di servizi “a basso contenuto di burocrazia” di cui le aziende possono usufruire sul suolo inglese.

La Brexit ha ulteriormente accelerato questo processo di de-fiscalizzazione e de-burocratizzazione, facendolo diventare uno dei principali incentivi per investire a Londra. Infatti, il clamoroso esito del referendum di giugno non solo ha fatto sparire nel nulla l’idea di una Google Tax  (appena abbozzata da Cameron), ma ha anche spinto il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne (il ministro del Tesoro inglese) e il nuovo premier Theresa May a compiere veri e propri salti mortali per trattenere e attirare in terra d’Albione tutte le maggiori multinazionali estere, soprattutto nel settore dell’hi-tech. La strategia è sostanzialmente quella di imprimere un’estrema accelerazione all’economia britannica, attirando nel Paese capitali e strutture produttive con la promessa di una fiscalità estremamente vantaggiosa rispetto a quella garantita in territorio UE, soprattutto in fatto di capital gain.

Il passo più importante per convincere le aziende estere ad investire a Londra è costituito dal piano che dovrebbe portare ad un’ulteriore riduzione della corporation tax al 17% entro il 2020, con l’opzione di arrivare poi ad un incredibile 15%, un’aliquota che porterebbe Londra a competere addirittura con il regime fiscale della vicina Irlanda. Un panorama davvero appetibile tanto per le micro-aziende che mirano semplicemente a costituire una ltd con minimi costi d’avvio e un’alta profittabilità, quanto per i colossi americani con un piede in Europa che cercano di sfuggire alle grinfie della super-tassazione comunitaria.

E, infatti, letteralmente braccate dal fisco dell’Unione Europea, le grandi digital company non si sono fatte ripetere l’invito due volte. Ad aprire le danze al grido di “investire a Londra” è stato Jeff Bezos, che ha puntato tutto sulla Gran Bretagna precedendo addirittura la Brexit: già a marzo di quest’anno aveva infatti annunciato 2.500 nuovi posti di lavoro targati Amazon tra Inghilterra e Scozia, per poi – tutt’altro che spaventato – rilanciare di altre 1.000 unità subito dopo lo spoglio del referendum. Poi è toccato ad Apple, che ha messo sul piatto inglese 1.400 nuove assunzioni e la bellezza di 8 miliardi di sterline per trasformare la ex-centrale elettrica di Battersea nel proprio nuovo headquarter europeo. Dopo Apple, è stata la volta di Google, che si è detta pronta ad ampliare i propri futuristici uffici di King Cross per far posto a 3.000 nuove assunzioni nel giro dei prossimi due anni. Nemmeno Facebook è rimasto a guardare: anche Zuckerberg ha deciso di investire a Londra, promettendo 500 nuovi posti di lavoro e una nuova sede nel centralissimo quartiere di Fitrovia, proprio tra il cuore pulsante di Soho e il British Museum.

Ma non bisogna pensare che Londra eserciti la sua attrazione soltanto sulle grandi digital company o sulle piccole start-up che intendono costituire una ltd oltremanica. Tutte le grandi multinazionali nel mirino del fisco dell’Unione Europea costituiscono potenziali investitori, pronti a trasferirsi armi e bagagli sulle rive del Tamigi: la Brexit ha di fatto trasformato l’isola britannica in un paradiso fiscale off-shore appetibile per chiunque. Prova ne sia che anche Mc Donald e il suo impero di hamburger, tallonato dal fisco UE, si è detto pronto a lasciare la propria sede di Bruxelles per la più “comprensiva” Londra. D’ora in poi tutti i profitti extra-USA facenti capo al gruppo saranno quindi soggetti alla tassazione britannica, con buona pace dell’erario lussemburghese che si vedrà versare solo il corrispettivo per i locali effettivamente aperti nel Paese. Davvero niente male per un’azienda che, a sentire il Financial Times, dal 2009 ad oggi avrebbe pagato appena l’1,5% di tasse su utili che ammontano a poco meno di 2 miliardi di dollari.

Il progetto di fare del Regno Unito un “paradiso per imprenditori” non nasce comunque con la Brexit. Da parecchi anni costituire una ltd a Londra è quanto mai semplice e conveniente, tanto sotto il profilo fiscale quanto sotto quello delle poche e veloci formalità da espletare. E non è un caso che anche molte start-up nostrane decidano di costituire una ltd proprio a Londra per formalizzare così la loro avventura imprenditoriale. Costituire una ltd nella City non richiede un notaio, costa molto meno di quanto non costi farlo in territorio UE, richiede la tenuta di un minor quantitativo di scritture contabili e, fino ad un certo reddito d’impresa, non è neppure necessario provvedere alla dichiarazione dell’IVA. Proprio queste facilitazioni, negli ultimi anni hanno fatto sorgere un vero e proprio mercato dell’immatricolazione imprenditoriale all’ombra di Sua Maestà La Regina, con un numero sempre crescente di aziende europee che preferisce costituire una ltd oltremanica piuttosto che intraprendere sul continente secondo la restrittiva (e, a tratti, soffocante) normativa comunitaria.

Peraltro, la Gran Bretagna e la City londinese offrono moltissimi spunti di “finanza creativa” grazie ai quali è possibile usufruire di una pressione fiscale pressoché nulla. Spesso, costituire una ltd nel Regno Unito rappresenta soltanto il primo mattone di un’architettura aziendale ben più complessa. È facile, infatti, costituire un “ponte finanziario” con la vicina Irlanda, dove le grandi aziende sono riuscite da tempo a spuntare aliquote di tassazione degli utili a cifra singola. Quegli stessi utili, già sotto-tassati, possono poi transitare in terra d’Albione sotto forma di finanziamenti intra-aziendali, sfuggendo automaticamente ad ogni tipo di ulteriore imposizione fiscale. E tutto ciò a norma di legge. Questo per dire che costituire una ltd a Londra, soprattutto nella fase post-Brexit, presenta oramai rilievi strategici del massimo interesse.

Inutile però dire che il dumping fiscale praticato dal Regno Unito (che, peraltro, fa ancora parte dell’Unione) sta infastidendo non poco la UE e la Germania in primis. Più utile, invece, sottolineare come la May, in attesa della formalizzazione della Brexit, si stia impegnando in un rilancio continuo, arrivando fino al punto di non essere più supportata dal nuovo Cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond: per solleticare le aziende ad alta tecnologia, il Primo Ministro ha infatti recentemente annunciato di voler investire 2 miliardi di sterline in ricerca ed innovazione, facendo intendere, inoltre, di puntare ad una corporate tax al 14%. Una scommessa talmente ambiziosa che, secondo Hammond, il Regno Unito potrebbe non essere in grado di coprirla con le necessarie fonti di finanziamento, soprattutto nel lungo termine, dove gli effetti della Brexit sul bilancio dello stato sono ancora tutti da capire. Le principali vie da battere saranno, molto probabilmente, quelle di un sostegno al credito e di un rafforzamento dei rapporti commerciali con la Cina, uno dei Paesi in assoluto più propensi ad investire a Londra.

Insomma, dopo la Brexit, pare che investire a Londra stia diventando imprescindibile. Si tratta, tuttavia, di una constatazione al netto delle reazioni dell’Unione Europea all’aggressiva politica fiscale britannica. Nella migliore delle ipotesi, solo da marzo 2017, quando verranno (teoricamente) avviate le negoziazioni per la Brexit, si potranno vedere le carte che l’Unione Europea intende effettivamente giocare per ricondurre il Regno Unito a più miti consigli in fatto di rispetto delle politiche comunitarie. Sempre, ovviamente, che riesca a trovare la compattezza interna necessaria per farlo.

In: Eventi, News